“Perché, Dottore?”
Quando un paziente entrava nel mio studio, faceva sempre questa domanda. Perché la sofferenza? Perché il malessere? “Me lo dica lei”, rispondevo: era il primo passo verso il CAMBIAMENTO. Il secondo passo era individuare, attraverso l’introspezione, le proprie ferite.
La questione del cambiamento affiora inevitabilmente in psicoterapia, insieme al desiderio di non soffrire più. All’inizio è dura. Le persone credono – vogliono credere – che le cause del loro disagio siano all’esterno, non dentro di loro. “Non si sarebbe rivolto a me – facevo notare a chi mi stava di fronte – non sono un chirurgo o uno psichiatra, non devo scoprire un batterio o un virus che l’affligge, non devo darle pastiglie o punture”.
Fra i miei pazienti, c’èra chi stava male perché aveva subìto un lutto, un’aggressione, un abuso, perché aveva perso il lavoro e si sentiva inutile. Il trauma sprigionava un disagio ben più antico, legato all’infanzia, serrato nell’inconscio come in un carcere. Era il momento più delicato della psicoterapia, il paziente andava sostenuto in modo discreto e costante mentre sentiva sulla propria pelle il dolore emerso da profondità insondate. Stavo bene attento a non interferire, a non dare consigli per non compromettere il lungo processo verso un cambiamento che, lì per lì, sembrava impossibile. I racconti, le lacrime, l’indignazione e persino le manifestazioni di una gioia improvvisa mi permettevano di fare la diagnosi, di comprendere la sindrome e la sua causa. Il paziente si sentiva accolto, cominciava a riflettere su se stesso, pian piano trovava da solo le risposte ai suoi “perché?” e le condivideva con me. Il suo “perché?” era diventato il nostro “perché?”.
Il Congo, questo Grande Paziente
Come psicologo clinico mi sono occupato solo dei miei pazienti. La Morale, la Sociologia, la Politica erano estranee. Ma, vedendo e seguendo i casi del mio Paese, la REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, sono cambiato. Quando è troppo è troppo, mi dico ogni giorno, qui è in ballo l’avvenire dei nostri figli. Mi rivolta sapere che la RDC è governata da gente arricchita in modo illegale e da incompetenti: in 56 anni d’indipendenza, il Paese non ha mai avuto un dirigente capace di dare ai Congolesi la stabilità sociale e di farli sentire DEGNI DI ESSERE UOMINI. Ora, in occasione dell’imminente dialogo politico, in caso di vittoria di Kabila e Kamerhe, una pietra tombale rotolerà su di noi, non prenderemo mai più il nostro destino nelle nostre mani.
I miei compatrioti si chiedono “perché?” come facevano i miei pazienti. “Trovate in voi il perché” – rispondo da questo blog che, non per caso, si chiama MONPOURQUOI – fate una terapia collettiva. Come? Scrivendo, inviando foto e commenti, scambiando pareri, condividendo materiale, partecipando al forum: da soli, con le vostre forze, riconoscerete la vostra sofferenza sociale, le ferite dell’antica, brutale colonizzazione che, in forme diverse, è ancora presente nel nostro Paese. Solo così daremo un FUTURO ai nostri figli.
La diagnosi e la cura.
Non sarei un buon medico se non vi dicessi la patologia di cui soffriamo: MOBUTISMO nelle sue quattro sindromi: 1) EGOCENTRISMO, 2) PARANOIA, 3) SOPRAVVALUTAZIONE DI SÉ, 4) MITOMANIA. Queste sindromi sono come bende sugli occhi, ci impediscono di vedere. E, quel che è peggio, ci rendono facile preda non solo dei governanti arricchiti malamente, anche degli uomini di Chiesa. Non sono un ateo, la mia famiglia è sempre stata molto religiosa e mio nonno, da ragazzo, avrebbe volentieri rinunciato a fare il re nel suo villaggio per dedicarsi alla chiesa. Ma la religione ai tempi di mio nonno, così come ora, è uno strumento di potere (non dico niente di nuovo). I missionari andavano dal re del villaggio a farsi consegnare ceste d’oro – l’omaggio dei sudditi – con la scusa che tutto quel metallo attirava malefici sulla comunità. E’ un episodio accaduto al mio bisnonno. Oggi, in Congo, i più incapaci sono diventati preti e pastori e fanno i servi di ministri corrotti per confondere la gente e manipolarla.
Conglesi, “MONPOURQUOI”. Troveremo insieme le risposte.
P.S. Dedico questo blog ai miei nonni e ai miei due figli, Adam e Agnes.
(traduzione, Pia Di Marco)